Un tentativo di definizione

Con l’espressione “challenge online” (challenge in inglese significa “sfida”) si indicano contenuti diventati virali in Rete nei quali una o più persone si mettono alla prova in una particolare attività, invitando spesso altri utenti a fare lo stesso. Lo stesso fenomeno viene etichettato anche con le espressioni “web challenge”, “social challenge” (utilizzata soprattutto se le sfide nascono e si diffondono sui social network), ma anche genericamente “sfide estreme” o “challenge virali in Rete”.

Se si pensa alle challenge online di cui si è parlato negli ultimi anni, è possibile delineare un formato ormai standard: un filmato che mostra un qualche tipo di performance (spesso fisica) e che, una volta pubblicato in Rete, raggiunge una discreta popolarità soprattutto attraverso i social network e grazie alla condivisione o all’imitazione. Centrale è la presenza dell’utente-protagonista che si immortala o viene immortalato mentre svolge un’azione. Più o meno implicito a seconda dei casi è l’invito a mettersi alla prova rivolto agli altri utenti, che può essere espresso chiaramente con gesti o parole, o può essere velato e finalizzato a stuzzicare indirettamente la curiosità e la voglia di sfida dell’utente-spettatore.

Ma perché così tante persone decidono di partecipare ad una challenge online? I motivi possono essere diversi: raggiungere un alto numero di visualizzazioni e una certa popolarità in Rete, partecipare in prima persona alla creazione di contenuti di tendenza sui social network, volersi mettere alla prova o sentirsi accettati all’interno di un gruppo o una community.

Tra le challenge online più famose ci sono quelle in cui personaggi più o meno celebri si rovesciavano addosso un secchio pieno di ghiaccio e acqua gelata (ice bucket challenge) con l’intento di sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo la sclerosi laterale amiotrofica e stimolare le donazioni per la ricerca scientifica, svoltasi nel 2014; oppure i tristemente celebri video che tra il 2017 e il 2018 mostravano la pericolosa sfida che invitava gli utenti dei social network ad ingerire capsule di detersivo per la lavastoviglie o lavatrici (tide pods challenge). Ma non solo: ciclicamente nei mesi estivi diventano popolari video che immortalano gruppi di amici o famigliari mettersi alla prova utilizzando oggetti di vario tipo, come è successo con le bottiglie di plastica lanciate in aria cercando di far sì che ricadessero verticalmente (water bottle flip challenge).

Oggi un aspetto chiave, come dimostrato dagli esempi, è la presenza di Internet per favorire non solo la viralità dei contenuti, ma anche la loro veloce circolazione a livello internazionale e la possibilità che una challenge datata torni in voga se la sfida viene accettata e inscenata da un personaggio particolarmente conosciuto online o con un numero di follower abbastanza alto da contribuire ad una veloce diffusione. Si aggiunge poi il ruolo che Internet e i social network rivestono spesso nelle vite di giovani (e meno giovani), dove il desiderio di essere accettati è spesso appagato dal successo che si ha in Rete, dal numero di follower accumulati su Instagram, da quanti “mi piace” ricevono una foto o un video pubblicati su Facebook e dalla notorietà del proprio profilo TikTok. In quest’ottica le challenge online sono spesso uno strumento per raggiungere notorietà, per essere accettati all’interno di una community o persino strumenti di cyberbullismo, quando vengono realizzate senza la precisa volontà del protagonista o per bersagliare particolari categorie.

È però importante tenere a mente che sfide di questo tipo non sono solo il risultato della nascita e diffusione di Internet. Anche prima della Rete, simili fenomeni ruotavano intorno all’imitazione e al desiderio di sfida, che hanno sempre coinvolto soprattutto la categoria degli adolescenti. Non è infatti un caso che siano proprio loro gli utenti cui spesso le sfide si rivolgono e che finiscono per assumere sia il ruolo di protagonisti che quello di pubblico.

Perché proprio gli adolescenti? La redazione di Facta ha contattato in qualità di esperto lo psicologo e psicoterapeuta Matteo Lancini, che ci ha spiegato qualcosa in più sul fenomeno.

Dunque i nostri giovani si sono trovati a vivere in un mondo sempre più online in cui rischi e benefici sono spesso a stretto contatto. Scopriamo che cosa ci dicono i dati su questo fenomeno.

Gli adolescenti tra reale e virtuale

Oggi nella crescita degli adolescenti è sempre più presente Internet e non è un segreto. Le nuove generazioni vivono in una realtà in cui il web svolge un ruolo centrale, ponendosi come veicolo di informazioni e opportunità e strumento che è necessario conoscere e saper utilizzare, oltre che – in alcuni casi – luogo potenzialmente rischioso.

Secondo il rapporto Eurostat Being young in Europe today, nel 2019 il 94 per cento dei giovani ha usato quotidianamente Internet, contro il 77 per cento dell’intera popolazione. Il dato è non solo maggiore se paragonato alla popolazione in generale, ma anche in crescita rispetto al 2011, quando i giovani che utilizzavano quotidianamente Internet erano il 78 per cento. Diverso, all’interno delle diverse fasce di età della popolazione europea, è poi l’utilizzo degli strumenti tecnologici: nel 2017 circa tre quarti (76 per cento) dei giovani utilizzava un computer quotidianamente, un valore di 14 punti percentuali più alto rispetto alla popolazione adulta (62 per cento). Se poi negli ultimi anni l’utilizzo di computer tra i giovani si è ridotto lasciando sempre più spazio ad altri dispositivi (in particolare gli smartphone), al contrario la percentuale di popolazione adulta che ha utilizzato quotidianamente i computer è aumentata tra il 2011 e il 2017, seppure con un ritmo modesto.

Sulle abitudini dei giovani incidono poi anche le scelte quoditiane prese da loro genitori ed educatori e, tra queste, la presenza di una connessione Internet in casa: nel 2019 nei diversi Stati membri dell’Ue in media nove famiglie su dieci avevano accesso alla Rete tra le mura domestiche, nel 2009 la percentuale era pari al 55 per cento. Nel 2019 il 98 per cento delle famiglie con figli a carico aveva accesso ad Internet in casa, contro l’82 per cento senza figli. La pandemia da Covid-19 ha poi fatto sì che per gli studenti di tutto il mondo Internet diventasse ancor più indispensabile di quanto già non lo fosse, ponendosi come principale veicolo di educazione e strumento più adatto a mantenere attivi i rapporti umani.

Guardando in particolare al rapporto tra adolescenti e challenge online, i dati confermano che si tratta di un fenomeno presente in particolare tra i giovani. Secondo il rapporto ESPAD #iorestoacasa, pubblicato quest’anno dall’Istituto di Fisiologia Clinica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), nel 2020 in Italia il 15 per cento degli adolescenti di età compresa tra i 15 e i 19 anni ha almeno sentito parlare di challenge online e ha dichiarato che sono spesso utilizzate come strumento di ammissione in particolari gruppi online o community. Il formato è lo stesso descritto sopra: si tratta di dimostrare di aver superato sfide pubblicandole online. Il campione più coinvolto è quello femminile e nella maggior parte dei casi (45 per cento) il “passa-parola” della sfida avviene tramite gli amici, mentre solo nel 14 per cento sono diretti responsabili i parenti. Gli adolescenti con un profilo a maggior rischio di dipendenza dell’uso di Internet sono anche quelli che hanno dichiarato di aver sentito parlare delle challenge più spesso; in generale, tra quelli che hanno ammesso di aver ricevuto la proposta di partecipare ad una sfida, un quinto ha dichiarato di aver accettato.

Quella delle nuove generazioni è quindi sicuramente sempre più una vita onlife, espressione coniata dal professore di filosofia ed etica dell’informazione e direttore del laboratorio di etica digitale dell’Università di Oxford Luciano Floridi e altri ricercatori per indicare il modo in cui la tecnologia delle comunicazioni ha cambiato la nostra vita. In una quotidianità dove la distinzione tra reale e virtuale è sempre più sottile, quali sono i rischi e i benefici per i nostri giovani?

Secondo alcuni esperti è importante tener conto dello sviluppo psicologico-cognitivo che gli adolescenti vivono, del loro rapporto con Internet e, dal punto di vista dei processi fisiologici, della produzione di dopamina, neurotrasmettitore presente nel sistema nervoso centrale e in dosi elevate in profondità all’interno dell’encefalo. La dopamina è coinvolta in moltissime attività umane (comportamento, cognizione, motivazione, inibizione, sonno, umore, apprendimento) e il suo rilascio fa avvertire una scarica di piacere che dal punto di vista neurologico rappresenta la ricompensa quando portiamo a termine un dato compito. Durante l’adolescenza il livello di dopamina diminuisce, ma aumenta la quantità rilasciata in relazione ad esperienze piacevoli: ad esempio, la gratificazione in seguito ad un’azione rischiosa o proibita è più alta, e ciò porta ad assumere condotte a rischio.

Che cosa hanno scoperto le neuroscienze a riguardo? Come funziona il cervello degli adolescenti e come vive il rischio? E che cosa possono fare gli adulti per aiutare i giovani che utilizzano molto Internet? Abbiamo posto questi interrogativi a Matteo Lancini.

Prima dell’arrivo di Internet

L’idea di sfidare i propri limiti è intimamente legata alla natura umana e il concetto stesso di progresso umano è stato più volte interpretato come un tentativo di alzare l’asticella del possibile, portando ogni volta un po’ più in là la soglia di ciò che era considerato umanamente realizzabile.

Si potrebbe dire, banalizzando, che le sfide sono il modo con cui l’essere umano scende a patti con la propria natura mortale, esplorando i confini del proprio corpo e delle proprie capacità. Del resto, la cultura popolare è piena di riferimenti al concetto di sfida: dai duelli cavallereschi del Medioevo fino alla “chicken run”, la folle corsa in auto verso il precipizio messa in scena nel film Gioventù bruciata, passando per la scommessa di girare il mondo in 80 giorni che lo scrittore francese Jules Verne immaginò in uno dei suoi più riusciti romanzi d’avventura.

L’idea della sfida è stata infine sublimata all’interno della competizione sportiva, dove la ricerca del record è ancora oggi uno dei motori in grado di muovere quell’insieme di passioni e storie a cui assistiamo ogni quattro anni in occasione delle Olimpiadi. È l’individuo che si misura con i suoi simili e con il mondo, ma innanzitutto con sé stesso e con il concetto di limite. Nella maggior parte degli ambiti la sfida ha finito per essere codificata, ovvero inserita in quadro di regole prestabilite con l’obiettivo di evitare eccessi e irregolarità, ma questo non vale per tutte le sue possibili declinazioni.

Esistono sfide più estreme di altre, che si svolgono tra adolescenti e che nascono spesso dal desiderio di dimostrare coraggio in situazioni pericolose. Spesso troppo pericolose. È il caso, ad esempio, dei giochi di autostrangolamento, che secondo una ricerca pubblicata dai Centers for Disease Control and Prevention (l’ente statunitense per il controllo e la prevenzione delle malattie), tra il 1995 e il 2007 hanno causato almeno 82 vittime tra i 6 e i 19 anni nei soli Stati Uniti. I Cdc lo chiamano “the choking game” (in italiano, il “gioco dello strangolamento”) e si svolge comprimendo le proprie vie respiratorie (o quelle di una persona consenziente) «per raggiungere un breve stato di euforia causato dall’ipossia cerebrale», ovvero dalla diminuzione di ossigeno al cervello.

Oltre che con il nome di choking game, il fenomeno è noto anche come airplaining (dalla sensazione di mancanza d’aria che si riscontra ad alta quota, in aeroplano), space monkey (scimmia spaziale), suffocation game (gioco del soffocamento), passout game (gioco dello svenimento), dream game (gioco dei sogni) o blackout. In Francia lo stesso fenomeno – che dal 2000 provoca «una decina di morti ogni anno», sostengono le associazioni nate per sensibilizzare i giovani sul tema – è invece conosciuto come jeu du foulard, in italiano “gioco della sciarpa”. Come si legge in un articolo che il settimanale americano Time ha dedicato nel 2018 all’argomento, le istruzioni del choking game erano un tempo diffuse attraverso il passaparola e «il gioco veniva eseguito in coppia o in gruppo, con una persona che bloccava l’afflusso d’aria ma si fermava appena prima del punto di non ritorno».

Sulla falsariga del choking game vale la pena registrare la sfida che spinge gli adolescenti a sniffare gas butano (quello presente negli accendini) per ottenere una breve sensazione di alterazione, con conseguenze spesso mortali, e quella che li porta a “surfare” sul tetto delle automobili in movimento (e che negli Stati Uniti ha causato 58 morti e 41 feriti tra il 1990 e il 2008). L’attualità italiana degli anni recenti si è invece spesso confrontata con il fenomeno del lancio dei sassi dal cavalcavia, che un report dell’Osservatorio sassi dal cavalcavia dell’ASAPS (Associazione Sostenitori e Amici della Polizia Stradale) ha definito «antico ed endemico» e che ha causato 8 morti in Italia tra 1986 e il 2005, in episodi scatenati per lo più da minori.

Il grande salto delle sfide estreme nella cultura di massa è però avvenuto grazie ai social network, formidabili strumenti di diffusione di contenuti e di idee, entrati nella propria fase matura a partire dall’anno 2006 con il successo globale ottenuto da Facebook e Twitter. Le piattaforme create da Mark Zuckerberg e Jack Dorsey hanno contribuito a rivoluzionare linguaggi e dinamiche aggregative della generazione nota come dei “nativi digitali” e hanno rappresentato il trampolino di lancio indispensabile per le successive esperienze di reti sociali online.

Le sfide corrono in Rete

Tra queste è impossibile non citare Instagram e TikTok, considerati oggi i luoghi virtuali d’elezione della cosiddetta “Generazione Z”, nonché i principali attori della nuova era dei social network, quella che ha sdoganato la condivisione di immagini e filmati soppiantando la centralità del testo che aveva contraddistinto il primo decennio degli anni Duemila. Insieme a YouTube, Instagram e TikTok sono ben presto diventati il mezzo di comunicazione ideale per la diffusione delle sfide, che viaggiando sulla Rete possono ora essere definite a pieno titolo “social challenge”.

Per approfondire il ruolo dei nuovi media (e in particolare di TikTok) nella creazione e nella diffusione di sfide virali, abbiamo chiesto aiuto a Federico Rognoni, giovanissimo social media strategist ed esperto di comunicazione sulla piattaforma social dedicata ai filmati brevi.

Rognoni, cosa rende TikTok lo strumento ideale per la diffusione delle challenge online?

Oggi le sfide diffuse dai social network sono diventate frequente oggetto di cronaca e molto spesso a finire sul banco degli imputati sono proprio le piattaforme digitali, che negli ultimi anni sono state investite di un nuovo ruolo di responsabilità e di vigilanza nei confronti dei contenuti condivisi attraverso le proprie pagine.

Ma quella delle social challenge, come abbiamo già accennato, non è affatto una dinamica recente. Il primo contenuto di questo tipo in grado di riscuotere successo tra i più giovani è piuttosto innocuo e risale ai primi anni Duemila, quando la saltine cracker challenge spinse migliaia di adolescenti a tentare di mangiare sei cracker salati in meno di 60 secondi. Siamo agli albori di Internet e questa “challenge” può essere considerata un ibrido tra sfida nella vita reale e challenge online. Ad innescarla (involontariamente) fu il celebre quarterback americano Peyton Manning, che secondo un articolo pubblicato nel 1996 da Associated Press allenava in questo modo la sua natura competitiva.

Sempre relativa al cibo è la cinnamon challenge, la sfida sbarcata su internet nel 2001 (e tornata in auge nel 2012) che consisteva nell’ingerire un cucchiaio di cannella senza bere nulla e riprendere la reazione. Nonostante la sua natura apparentemente innocua, questo fenomeno ha causato nel 2015 la morte di un bambino di 4 anni nel Kentucky e ha ridotto in fin di vita numerosi partecipanti. Il motivo risiede nella natura idrofoba della cannella, che se introdotta in grandi quantità nella trachea può rendere difficile la deglutizione e scatenare una reazione autoimmune che può trasformarsi in una polmonite.

Nel 2005 è stato il turno della salt and ice challenge che, come suggerisce il nome stesso, consiste nel cospargere il proprio corpo di sale per poi strofinarvi sopra del ghiaccio e cronometrare la resistenza alla combinazione urticante. Anche in questo caso si tratta di un’idea quantomeno infelice, come suggeriscono le ustioni di secondo grado registrate su almeno due minori americani. Nello stesso periodo di tempo ha spopolato tra i giovani su Internet anche una sfida che chiedeva di mangiare due banane e bere una Sprite senza avere conati di vomito e una, piuttosto simile ma decisamente più famosa, che ruotava attorno al bere Diet Coke e mangiare Mentos.

La lista dei cibi da ingerire per soddisfare la moda del momento si è ulteriormente arricchita tra il 2011 e il 2013 con il peperoncino e il gallone (misura corrispondente a circa quattro litri) di latte, ma gli anni Dieci del Duemila hanno prodotto un aumento generale del livello di pericolosità delle sfide. Così, a partire dal 2013 abbiamo assistito alla fire challenge (adolescenti che si danno fuoco su Youtube), alla tide pods challenge (una sfida a mangiare capsule di detersivo per lavatrici), alla bird box challenge (compiere azioni bendati, alcune anche molto pericolose come guidare) e alla condom snorting challenge (infilare un preservativo nel naso per poi sfilarlo dalla bocca).

In tutti questi casi la Rete ha rappresentato un eccezionale strumento di amplificazione di dinamiche negative, ma non è sempre stato così. Perché l’idea di sfidare i propri limiti può essere incanalata in molti modi diversi e le sfide online possono essere sfruttate per beneficienza (come nel caso della ice bucket challenge e delle relative donazioni per la sclerosi laterale amiotrofica) o, come ci ha insegnato la mannequin challenge, per il semplice divertimento. Torniamo dunque dal nostro esperto, Federico Rognoni, per provare a capire qual è l’aspetto delle sfide che affascina gli utenti di internet, al punto da arrivare a mettere in scena atti estremi ed encomiabili atti di solidarietà.

Le social challenge, così come Internet in generale, sono insomma uno strumento complesso nel quale è facile perdersi. Nei prossimi capitoli proveremo a raccontare un pezzo di questo mondo, distinguendo le dinamiche virtuose da quelle potenzialmente dannose e soffiando via quello strato di disinformazione che troppo spesso rende arduo il compito di orientarsi su Internet.

Articolo scritto da Facta.news

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